I nuovi attori “sopra la rete” e la sostenibilità della filiera di internet

Un tema chiave per l’Agenda Digitale:i nuovi attori “sopra la retee la sostenibilità della filiera di internet

di Flavia Barca e Lorenzo Principali

Al centro delle politiche dell’innovazione di tutti i principali paesi europei c’è oggi il tema
dell’Agenda Digitale. Troppo spesso, però, l’attenzione si concentra sulla realizzazione delle
infrastrutture lasciando a latere proprio il tema dell’innovazione e della competitività delle
imprese nazionali (ed europee). E’ un fatto che l’innovazione digitale che, in questo momento
storico, è in grado di generare maggiore valore economico e maggiore valore di brand, e che
incide in tempo reale sui processi economici e sociali mondiali, è un’innovazione “fuori dalle
reti” e che quindi, per tradizione, non nasce in Europa ma negli Usa o in altri sistemi
economici emergenti. Un’innovazione potremmo dire “sopra la rete”, e difatti l’acronimo con il
quale vengono spesso identificati soggetti come YouTube, Apple, Google o Facebook è “OTT”,
over the top, che include tutti quei fornitori di servizi sulla rete Internet che sono soggetti
terzi e indipendenti dai provider di connettività.
Non è un caso che questi operatori non si siano sviluppati in Europa, un’area sottoposta ad alti
vincoli normativi, ancora estremamente frammentata, dove le imprese hanno una scarsa
propensione al rischio. Quello che si va a delineare, quindi, è uno scontro tra sistemi
contrapposti, un sistema europeo TLC-centric e un sistema Usa OTT-centric.
Da una parte i nuovi servizi “sopra la rete” portatori di innovazione e creatività, di cultura ed
economics immateriali, teatro di ridefinizione e ricontrattazione dei modelli sociali e
dell’identità personale, con un fortissimo posizionamento del brand e modelli di business
fortemente competitivi e che si vanno consolidando. Questi attori sono in grado di
capitalizzare il valore su scala globale (generando un flusso di capitali, principalmente sotto
forma di revenue pubblicitarie, raccolti da tutti i territori coperti dal servizio)
indipendentemente dal flusso degli investimenti: l’elasticità tra costi e ricavi è infatti molto
elevata nei costi legati all’innovazione, ma l’economia di scala fa si che non ci siano – quasi –
costi per utente aggiuntivo, se non quelli legati al marketing e all’attività di lobby nei paesi
coperti dal servizio. I costi legati all’uso dell’infrastruttura sono, invece, meno incidenti.
Dall’altra le telcos e tutti gli altri attori ad alto livello di “materialità”, poco cool e molto
connotati (sia nel brand che nell’organizzazione aziendale) dalla propria origine di monopolio
statale o comunque dalla propria natura primigenia di public utility. Questi soggetti,
relativamente al proprio core business, capitalizzano “solo” il valore della propria rete, la
quale richiede elevati investimenti di costruzione, gestione e innovazione, e per le quali il
costo di un utente aggiuntivo è spesso estremamente incidente (specie quando quest’ultimo si
trova in zone impervie, lontano dai grandi centri urbani).
Terzo angolo del triangolo l’utente finale, sempre più avido di servizi in rete, specie servizi
video che costituiscono oltre il 90% del traffico on-line, sempre più pro-sumer di contenuti,
sempre più dipendente da un determinato contenuto/servizio e dal device di fruizione e
sempre più indifferente alla rete che lo veicola ma non alle politiche di pricing di quest’ultima,
principale leva competitiva attualmente in mano alle TLC. Un utente al quale i nuovi servizi
propongono una moltitudine di nuove opportunità – occasioni di incontro, accesso ad enormi
volumi di informazioni, stimoli di qualunque tipo, semplificazioni amministrative, lavoro da
casa etc. Al contempo un utente che esprime nella rete un bisogno di protagonismo e di messa
in scena (messa in rete) caratteristico del post-modernismo (o del suo superamento, secondo
alcuni), percepito come libertà suprema di espressione, ma al contempo anche massimo
pericolo di perdita della propria libertà intesa come privacy, cioè come chiaro distinguo della
propria sfera personale di riferimento.
Il mercato di internet è destinato a crescere e ad avere un impatto sempre maggiore sulla
società e l’economia, ma è un mercato che sarà sempre più aperto ad una molteplicità di attori
per via dell’abbattimento delle barriere geografiche determinate da protocolli sempre più
universali che viaggiano su reti differenti.
Si delinea quindi uno scenario dove il flusso dei ricavi e quello degli investimenti
costituiscono due vettori scollegati tra loro. Il rischio è quello di un forte trasferimento di
ricchezza tra Unione Europea e Nord America con un effetto sostanziale sulla divisione
internazionale del lavoro.
Ma perché in Europa non nascono servizi sopra la rete in grado di competere con i big
mondiali (Apple, Amazon etc)? E perché le telcos europee non riescono a posizionarsi in modo
significativo nel business degli OTT? Le ragioni solo molteplici, e l’Osservatorio della
Fondazione Rosselli intende aprire un percorso che faccia maggior luce su questo tema,
laddove riteniamo che queste problematiche abbiano un impatto sostanziale sulla politica
industriale del Paese e dell’area euro. Qualche riflessione può essere però qui anticipata.
Innanzitutto va rilevata un’asimmetria normativa secondo la quale gli operatori OTT possono
scegliere secondo quale legislazione e tassazione operare mentre gli operatori telco nazionali
sono costretti in qualche modo a farvi i conti (si pensi alla sicurezza delle comunicazioni, agli
obblighi di privacy e alla disintermediazione tra rete fisica e relativo posizionamento
geografico e fornitura del servizio). Il punto nodale del business è la conoscenza dettagliata
dell’utente finale, cioè quella mole di informazioni che lo riguardano (dalla profilazione dei
suoi gusti, ai suoi amici etc) che operatori (OTT o TLC o broadcaster pay che siano)
acquisiscono all’attivazione dell’abbonamento o dell’accesso al servizio e arricchiscono nel
corso della “relazione” con l’utente: la gestione di questi dati fortemente sensibili è
strettamente regolata in Europa (o meglio relativamente alle aziende europee) mentre lo è
molto meno negli Usa, e questo “gap” regolatorio viene capitalizzato dagli OTT oltreoceano.
Questo è il punto nodale di tutta l’architettura. Il mercato di Internet è costruito di fatto
intorno al controllo delle informazioni riguardanti gli utenti e quindi coincide con un processo
di privatizzazione della conoscenza collettiva. Da questo discendono tutte le questioni che
l’Osservatorio OTT andrà ad esaminare nei prossimi mesi. Come può l’Europa favorire la
nascita di imprese europee competitive con gli OTT? E’ corretto intraprendere una politica
industriale “protezionistica” di supporto dei campioni nazionali/europei? La strada è
abbassare l’asticella normativa per tutti o alzarla per tutti? Come proteggere la libertà e la
globalizzazione dei flussi e delle scelte di informazione (l’utente di internet non giudica più
concepibile il mancato accesso ad un servizio disponibile ad es. negli Usa, perché la rete ha
educato la popolazione mondiale ad un concetto di libertà e internazionalizzazione mai visti
prima) salvaguardando al contempo le economie locali?
Occorre dunque ripensare le politiche pubbliche e il loro impatto su un mercato
estremamente strategico e destinato ad accrescere costantemente la propria importanza.
Chi riuscirà ad adattare e ad interpretare i futuri flussi informativi sarà il vincitore della
contesa per gli anni a venire. L’internet del futuro, in un’ottica di evoluzione che volge
all’interazione e prossimamente all’incorporamento degli oggetti, sembra avere bisogno
sempre più di standard condivisi e il Cloud computing apre prospettive enormi da questo
punto di vista. Innovazione e catena del valore vanno storicamente di pari passo con le
integrazioni verticali da un lato e la diffusione di piattaforme e standard condivisi da un altro.
L’ultimo grande successo europeo è relativo al Gsm, uno standard vincente che ha reso gli
operatori europei leader nelle comunicazioni mobili grazie ad un approccio coordinato.
Occorre rilanciare un circolo virtuoso interno, un mercato unico digitale e politiche
d’innovazione condivise.
In ogni caso, sembra doveroso perseguire strategie chiare e nette per superare una fase di
incertezza decisionale che oscilla tra protezionismo e liberismo rischiando di lasciare gli
operatori continentali in un vacuum normativo e strategico

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