Fidapa Sezione di Ferrara – Commissione Arte e Cultura – nell’ambito della seconda annualità del progetto “Percorsi al femminile 2014 – gli spazi delle donne”, ha promosso unitamente alle Associazioni cittadine con le quali collabora sul territorio e gli Enti istituzionali patrocinanti, due incontri rivolti ad offrire alla città, pagine inedite di un percorso di conoscenza intorno a Lucrezia Borgia, duchessa del Rinascimento italiano, sposa di Alfonso I d’Este.
Gli incontri si sono tenuti a Casa di Stella De’ Tolomei detta dell’Assassino. ( La denominazione della dimora storica non tragga in inganno. Qui nessun assassinio fu mai consumato. Stella De’ Tolomei era figlia di Giovanni De’ Tolomei da Assisi, da tutti chiamato “l’assisino” appellativo che nel tempo e nella forma dialettale locale, si mutò in “assassino”. Stella era la favorita di Nicolò III, a cui diede, senza diventare mai sua moglie, tre figli: Ugo, Lionello e Borso).
Il primo incontro (20 giugno 2014) sul tema “Lucrezia e l’imprenditoria femminile dal Rinascimento ad oggi” centrato sulle ricerche storiche condotte da Diane Yvonne Ghirardo, studiosa italo-americana, professore ordinario alla University of Southern California di Los Angeles, autrice della pubblicazione : “Le duchesse e le bufale e l’imprenditoria femminile nella Ferrara rinascimentale”, la quale, nella presentazione dei risultati dei suoi studi, ha evidenziato il volto inedito e inusuale di Lucrezia Borgia; donna, descritta nell’immaginario collettivo, come perversa, affascinante e letale, mondana, corrotta. Il ritratto che i documenti della corte estense, custoditi dall’Archivio di Stato di Modena dal 1598, offrono della duchessa è completamente diverso.
I fondi archivistici estensi non raccolgono solamente i carteggi di Lucrezia, estremamente interessanti nella messa a fuoco della personalità della duchessa, ma anche i molti libri contabili che riportano le sue attività e le sue spese. Studiando rigorosamente questi documenti, Diane Yvonne Ghirardo ha svelato lati inediti e fortemente anticipatori di questa donna: è emersa una Lucrezia imprenditrice, impegnata nella bonifica delle terre paludose e incolte del ducato, nell’allevamento e nell’abile amministrazione di un grosso patrimonio formato da poderi produttivi (cereali e frumenti), bestiame bovino, soccide di pecore, cavalli per trebbiatura, cascine per la produzione di latticini, redditi derivanti dall’affitto di pascoli, prati e imbarcazioni. L’amministrazione stessa di una folta corte di artigiani (gioiellieri, musici, tira-oro, calzolai, sarti, guardarobieri, calchi e credenzieri) testimonia le indubbie capacità manageriali di questa discussa figura di donna: pratica, colta, accorta amministratrice, bonificatrice, imprenditrice ante litteram.
Hanno, nell’incontro, contribuito alla lettura del percorso femminile per la conquista di spazi di indipendenza e di progettualità, nel passato e nel presente, Maria Grazia Zapparoli imprenditrice CNA, Gisella Ferri imprenditrice e Presidente del Comitato imprenditoria femminile della Camera di Commercio di Ferrara e Simona Salustro imprenditrice AsCom, i cui interventi sono stati coordinati dalla giornalista televisiva Dalia Bighinati.
2° incontro (27 giugno 2014) : Voci intorno a Lucrezia : abiti, tessuti, dai vestiari delle corti alle stoffe di oggi
Sugli scritti e sulle ricerche di Elisabetta Gnignera, si è incentrato l’incontro al quale hanno portato il loro contributo personalità dell’imprenditoria ferrarese e veneziana. Sono intervenuti: Rosalia Cogo imprenditrice titolare di un’azienda manifatturiera di tessuti di canapa, Giulietta Malagutti, esperta di tessuti per l’arredamento, Francesco Zampieri, responsabile tessuti della ditta Rubelli di Venezia e Federica Sandri, architetto promotrice di eventi e sceneggiature di ambienti, i quali, nei loro interventi, si sono avvalsi della regia e del coordinamento di Dalia Bighinati giornalista. La conversazione con l’autrice di pubblicazioni sul costume del 1400, ha evidenziato come il made in Italy e in particolare lo stile italiano nella moda, universalmente riconosciuto, fondi le sue origini nel passato e tragga linfa dall’abilità manifatturiera e dalla raffinatezza del gusto assimilata negli anni nelle botteghe artigiane. La relazione ha spiegato e illustrato come si siano affermati le ricercatezze del costume, i soperchi ornamenti di cui in ogni tempo le classi più agiate si sono appropriate: abiti, copricapi, gioielli e acconciature femminili che si imposero nella moda del Quattrocento italiano. Quegli ornamenti che non potevano considerarsi in quell’epoca un semplice completamento accessorio dell’abito ma uno specifico decoro con cui la società di allora si misurava per raffinatezza e lusso. Per Lucrezia Borgia, i colori scuri e pieni erano i migliori alleati del suo incarnato. Tra le dame rinascimentali di cui ancora si ricordano il fascino e l’eleganza, nessuna poté vantare un corredo di ricchezza pari a quello che Lucrezia Borgia portò con sé quando lasciò Roma per venire a Ferrara e diventare la sposa di Alfonso I d’Este.
A uno dei primi ricevimenti in onore dei ferraresi venuti a Roma per scortare la loro futura duchessa, Lucrezia era apparsa abbagliante, in bianco e oro, con il tipico manto spagnolo – la sbarenia – foderato di zibellini; ma nelle feste che seguirono, fino al 6 gennaio 1502, giorno della partenza, la sua apparizione, sapientemente studiata, si ammantò delle cupe tonalità dei colori del lusso, che uguagliavano in preziosità l’oro e l’argento, pure ampiamente profusi nei suoi abbigliamenti. I colori più rari, perché più costosi, erano il rosso e il nero cui, non a caso, il primo trattato a stampa di pittura tessile, il Plichto de l’arte de tintori…, edito a Venezia nel 1540, dedicava lo spazio maggiore.
La colorazione in rosso era, ancora agli inizi del XVI secolo, il prodotto di rare sostanze tintorie usate per i filati serici destinati ai tessuti più importanti, come il velluto o il damasco. Il cremisino, la tonalità più ricercata, accesa e brillante, tante volte citata nel guardaroba di Lucrezia oltre che nei resoconti del suo viaggio verso Ferrara, e durante le feste per il matrimonio, era dovuto ad una sostanza di origine animale, proveniente dall’Asia meridionale, che si trovava anche nelle miscele per ottenere le tonalità cupe del morello, altro colore preferito dal gusto della Borgia. La preziosità del nero, di cui Lucrezia sembra aver intuito e sfruttato tutte le possibilità di accordo e di risalto per la sua bellezza bionda, risiedeva nel fatto che, per ottenere questa tinta, era necessaria una miscela di sostanze ricche di tannino e di altri ingredienti ferrosi che risultava corrosiva per le fibre seriche; quindi, con dispendio di materia prima, durante la lavorazione, e poca resistenza nel tempo del tessuto stesso.