La professione di Avvocato

Il lavoro delle donne in Italia: molte ombre anche in un settore come quello dell’avvocatura.

Commento alla Ricerca Censis Dopo le buone teorie le proposte pdf , Programma di ricerca Intervento per le donne avvocato, promossa dal Cnf (Commissione pari opportunità) e dall’Aiga,  presentata a Roma il 10 marzo 2010.

Il Progetto Censis vuole essere ed é uno strumento in grado di sostenere il rilancio dell’immagine collettiva delle donne avvocato e di indicare le azioni che potranno sostenerne gli snodi professionali più difficili e misurare la capacita delle avvocate di partecipare direttamente ad un processo culturale e di cambiamento che le coinvolga.

L’Italia nel divario di genere è tra i Paesi più arretrati. Nelle classifiche mondiali è al 74° posto su 134, fanno meglio di noi tutti i Paesi europei, peggio solo il Giappone tra le maggiori economie industrializzate.

Sono dati della Banca d’Italia, prendendo spunto dal Rapporto 2011 «Sull’uguaglianza di Genere e Sviluppo» elaborato dalla Banca Mondiale e da una serie di studi e ricerche condotti dagli economisti dell’Istituto stesso. Se si guarda ad altre voci del confronto col resto del mondo l’Italia, osserva ancora la Banca d’Italia, ha una posizione un poco migliore per quanto riguarda l’istruzione – 49° posto – e decisamente peggiore se si guarda alla partecipazione della donna all’economia. Che vuole dire lavoro e occupazione: nel 2010 era occupato il 46,1% delle donne tra 15 e 64 anni, contro il 67,7% degli uomini. Il divario è particolarmente pronunciato nel Mezzogiorno, dove solo tre donne su 10 lavorano.

Il dato preoccupa se si guarda alla crescita che è bassa anche perché il paese non utilizza appieno le risorse dei giovani e delle donne. La Banca d’Italia ha calcolato che se il Paese riuscisse a centrare l’obiettivo di Lisbona dell’occupazione femminile al 60% il Prodotto interno lordo crescerebbe del 7%. Altri calcoli, basati sul Pil pro capite, indicano all’8,2% il progresso del Prodotto in caso di crescita dell’occupazione al 58,1%, cioè la media Ue nel primo trimestre del 2011. L’Ufficio studi dell’Istituto di via Nazionale, ha valutato i dati sulla presenza femminile nelle posizioni di vertice. Sul 40% di lavoratrici dipendenti nel settore privato tra i 15 e i 44 anni, le dirigenti sono il 24%; se si sale alla fascia d’età tra 45 e 64 anni sono il 15% sul 36% di presenza femminile occupata. La situazione è migliore per le dirigenti donne nel settore pubblico dove rappresentano, a seconda dell’età, rispettivamente il 45% e il 36%.

A sottolineare l’importanza del lavoro femminile nel sostegno alla crescita economica è anche il Ministero delle Pari opportunità, che alle donne imprenditrici indica le pari opportunità come uguale possibilità di accedere al credito. Le donne talvolta, sono costrette a fornire più garanzie rispetto agli uomini, pure essendo debitori più virtuosi degli uomini perché rimborsano con più puntualità. Sull’accesso ai fidi bancari le micro imprese al femminile pagano un tasso di interesse dello 0,3% più alto rispetto a quelle che hanno un uomo come titolare, e questo diverso trattamento non trova la propria giustificazione nel fatto che le imprese gestite da donne siano più rischiose, perché falliscono di meno.

La partecipazione al mondo del lavoro sta migliorando ma «i mutamenti sono lenti, troppo lenti. Secondo alcune stime “eroiche” ci vorrebbero oltre 50 anni per arrivare a una pari presenza nelle posizioni apicali ad esempio nelle carriere accademiche. La scarsa valorizzazione delle donne è un vero e proprio spreco di talenti, il reddito delle donne contribuisce non solo al benessere familiare, ma anche alla massa fiscale e previdenziale, nonché alla domanda di servizi di cura alle persone che, per loro natura, sono radicati nel territorio. In questo modo l’occupazione femminile attiva un circolo virtuoso che genera, oltre al reddito, anche occupazione e imprenditoria aggiuntiva.

Entrando nel merito di un settore professionale come l’avvocatura, il Consiglio Nazionale Forense, su impulso della Commissione per le Pari Opportunità e dell’Aiga, ha incaricato il Censis di realizzare il progetto “DOPO LE BUONE TEORIE, LE PROPOSTE”, un programma di ricerca-intervento per le donne avvocato. Obiettivo generale di questo progetto è quello di elaborare proposte destinate a offrire soluzioni ai problemi delle donne avvocato che ruotano attorno ad alcuni temi specifici: dalla conciliazione professione – famiglia, alla domanda inevasa di servizi, al deficit relazionale e di rappresentatività. Prima dunque di formulare e proporre politiche di sostegno alle avvocate, serve cambiare le regole del gioco, quelle che attualmente fondano la professione su paradigmi del tutto maschili, nonostante la femminilizzazione crescente della categoria, cambiare la cultura professionale e sociale nei loro confronti.

Perché ciò diventi davvero possibile c’è bisogno di introdurre il criterio delle quote negli organismi categoriali più significativi.

I dati rilevati con questo progetto:

Le donne scelgono la professione di avvocato per:

• “passione” per il 49,6% delle intervistate con punte fino al 52,8% nel caso delle donne avvocato che hanno superato i quarant’anni e del 55,3% per quelle provenienti dal Nord‐Est e dal Centro, più che una scelta di opportunità.

• realizzare “profitto” il 20,9% e la considera un “bene per la collettività” il 9,9%.

o Per il 25% la professione è vissuta come un sacrificio perché devono conciliare al lavoro la vita familiare e perché vivono una posizione di marginalità rispetto all’avvocatura.

o Sulla scelta di diventare avvocato, il 59,7% ha risposto che si trattava di

• un desiderio di sempre e il 25,3% ha invece optato per questa professione per essere autonoma.

 

I fattori riconosciuti per avere successo per il 46,3% delle intervistate sono

• avere una formazione adeguata (contro il 28,8% degli uomini) e

• sviluppare la capacità di autopromuoversi per il 28,8% (contro il 21% dei colleghi maschi).

• “Provenire da una famiglia di avvocati” può essere una condizione sì necessaria ma non sufficiente a garantire il successo della professione di avvocato donna: per il 17,7% delle donne avvocato questo fattore occupa,infatti, solo il 6° posto delle preferenze.

 

Le donne avvocato vengono contattate dalla clientela per questioni che hanno a che fare

• con la famiglia e i minori (68,5%),

• con la proprietà/locazioni e condomini (55,2%),

• con la contrattualistica (52,1%),

• l’infortunistica (50,25%) o le esecuzioni (46,5%).

Solo un numero particolarmente esiguo risulta coinvolto per quanto riguarda

• i reati societari (2,6%),

• i reati “contro” o i conflitti “con” la P.A. (rispettivamente il 3,8% e l’8,2%),

• le questioni bancarie (8,0%) e le società in generale (12,0%), aree considerate più “maschili”.

Anche nell’avvocatura c’è un “soffitto di cristallo”, costituito dalla difficoltà delle donne di diventare titolari di studio e di accedere a ruoli funzionali, come quello di consulente del giudice. L’accesso e la partecipazione delle donne al mercato del lavoro non è ancora un fenomeno “normale”. Nel senso che non è né un fatto “di norma”, scontato, né un fatto “conforme alla norma”, la quale si presume debba valere allo stesso modo per tutti.”Oggi le donne avvocato costituiscono il 50 per cento degli iscritti agli albi e la gran parte di queste sono giovani. Eppure negli organismi rappresentativi della categoria prevalgono numericamente in modo schiacciante gli uomini over 45.

Nello stesso tempo, mediamente una donna avvocato dichiara redditi pari ad un terzo di quelli dei colleghi e la fascia reddituale al di sotto dei 12.000 euro l’anno e’ affollata da migliaia di giovani”

Le avvocate necessitano di sostegni espliciti allo svolgimento della loro attività lavorativa per crescere e rafforzare la propria collocazione sul mercato delle competenze legali e per poter offrire quindi servizi vicini alle esigenze della domanda.

“Gli esiti della ricerca hanno consentito di comprendere cio’ che le colleghe si attendono dalla politica e dalla stessa categoria. E non ci si puo’ non soffermare sulla annosa, e tuttora irrisolta, questione della governance della avvocatura, ancora in prevalenza saldamente in mano ai colleghi maschi, e sulla necessità che siano messe in atto politiche fiscali attive in favore delle donne e dei giovani ed a sostegno dei loro redditi”.

Ecco quali sono le aree di intervento prioritarie per sostenere le avvocate italiane:

A. Va cambiato l’attuale e persistente atteggiamento di sottovalutazione del lavoro autonomo,

B. deve essere concluso l’iter di approvazione della riforma delle professioni e di quella dell’avvocatura in particolare.

C. Necessità di prevedere interventi di tipo fiscale che non siano del tutto indifferenziati rispetto alle caratteristiche strutturali delle categorie professionali Il gap di reddito che divide le donne avvocato dai colleghi maschi è noto ormai a tutti, dalla Cassa Forense alle singole professioniste, ma non ha alcun effetto sul piano fiscale.

É forse opportuno, pensare a una rivisitazione degli interventi in materia che inseriscano la variabile di genere negli studi di settore, considerando che molte avvocate dedicano parte della propria vita alla maternità, durante la quale certamente fatturano di meno o per niente: meccanismi di destandardizzazione e di controllo adeguati potrebbero sostenerle in questa delicata fase della loro vita.

Si propone inoltre che gli studi associati formati da almeno il 30% di donne avvocate dovrebbero contare su sgravi fiscali, che scattino almeno nella fase di start up dello studio. Infine, i titolari di studio devono usufruire di sgravi fiscali nel caso di utilizzo come collaboratrici o dipendenti di colleghe donne, in una logica di incentivazione dell’occupazione femminile.

Sono state fatte varie proposte concrete su questi dati, le principali sono:

 le giovani avvocate devono essere orientate e stimolate fin dalla formazione universitaria ad approfondire materie non necessariamente “femminili” che possano diventare altrettanti ambiti lavorativi;

 devono essere individuate forme di incentivazione per l’apertura del “primo”studio, come accade per le donne che vogliono tentare l’avventura del lavoro di impresa;

 investire in rappresentanza: le avvocate devono contare di più nelle sedi decisionali di categoria in cui si prendono provvedimenti che possono rivelarsi sensibili per il loro sviluppo.

 Prevedere l’adozione di quote (30%) riservate alle candidature femminili nelle elezioni degli Ordini locali, degli organismi di pari opportunità e del Consiglio Nazionale.

 Adozione di incentivi associativi che consentano di allargare la costituency delle donne avvocato

 impegno dei Comitati di Pari Opportunità e dei soggetti associativi dell’avvocatura, come l’Aiga, a realizzare sportelli di ascolto per rispondere alle questioni aperte per le avvocate.

Bisogna fare molta attenzione in fase di applicazione di queste proposte, perchè le avvocatesse giovani o meno che siano, non hanno bisogno di essere relegate in riserve indiane della femminilità.

Gli avvocati donna vincono le cause tanto quanto gli uomini e sono molto più precise nella gestione dell’attività di studio. Come in ogni situazione il fatto di essere donna non ti rende per definizione più capace di fare un lavoro migliore rispetto ad altri, ma è altrettanto vero che l’essere donna non ti rende meno capace di affrontare con determinazione e competenza in un qualsiasi tribunale della repubblica.

Manca in questo quadro una proposta culturale che vada ad incidere sulla possibilità di far conoscere i successi di donne avvocato anche attraverso una maggiore esposizione nei media e tra questi la televisione. Manca una raccolta di dati presso i tribunali che evidenzi non solo l’enorme lavoro portato avanti dalle donne avvocato in Italia ma anche la loro capacità di risolvere positivamente i problemi. E’ necessario accelerare sulla consapevolezza della società che l’avvocato donna è veramente capace di svolgere questa attività al meglio delle sue prerogative individuali che non hanno niente a che vedere con gli attributi sessuali. Le donne non valgono tanto quanto un uomo perchè in questo lavoro possono valere molto di più, hanno sensibilità maggiore ai problemi dei clienti, come sostiene questo studio, e ci mettono più passione nelle cose che fanno, al tempo stesso sono meno competitive ma più orientate al giusto. Restano purtroppo aree di vero sconforto, le avvocatesse di affari, non godono della stessa fiducia dei maschi, in questo caso osserviamo che non è la società ma le aziende, che sono organismi complessi e partecipati, a fare la discriminazione questo studio ha messo in luce.

Su questo argomento invece è bene che le istituzioni democratiche comincino a ragionare, se aumenta lo spazio per le donne avvocato anche negli affari grazie alla fiducia ed all’impegno di tutte le istituzioni locali, si mette in moto un processo di inversione di tendenza che con il tempo porterà maggiore equilibrio e più utilità a tutti.

(Avv. Sabrina Felicioni, Presidente  Sezione di San Bonifacio, FIDAPA – BPWITALY)

 

 

 

 

 

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