Donne e migrazioni. Voci di donne migranti
Storie di donne che hanno percorso il mondo
Cinque donne si sono alternate, in un confronto sulle reciproche esperienze di mobilità. Invitate dal Comune di Belluno, in occasione della manifestazione “Il gusto dell’altro”, con la collaborazione dell’Associazione Bellunesi nel Mondo, e la partecipazione di Fidapa Bpw Italy di Belluno, Soroptimist International di Belluno-Feltre, PopolInsieme e Coordinamento Rete Immigrazione Belluno, hanno raccontato le loro esperienze davanti ad una folta platea, nella Sala Bianchi di Belluno.
Precedute da Gilla Mancosu, la quale ha fornito dati statistici che hanno inquadrato il fenomeno migratorio, la serata è stata moderata dalla giornalista Elisa Di Benedetto. Sono intervenute due bellunesi e tre immigrate, provenienti da Ucraina, Marocco e Camerun, al seguito, prima o poi, del marito, il quale per tutte ha cercato di spianare la strada, perché tutte hanno ammesso le difficoltà incontrate appena espatriate.
Mila Burlon si emoziona ancora, ricordando il trattamento umiliante riservatole appena arrivata in Isvizzera. Vi è rimasta per 23 anni, lavorando come operaia, e quando è arrivata era già sposata. Diversa, e più movimentata, l’esperienza di Teresa Bortoluzzi, sia per il numero dei Paesi di emigrazione sia per le condizioni politiche non sempre pacifiche. E’ stata nei cantieri dove lavorava il marito, in Guatemala (durante il colpo di Stato), Panama, Portogallo e Islanda. Le maggiori difficoltà le ha incontrate per la mancanza di conoscenza della lingua dei vari luoghi: difficile integrarsi se non parli come loro e non assimili la loro cultura. Ora, invece, fatica a vivere qui. La sua storia continua con la figlia, che dopo sette anni in Cina, da cinque anni vive in Islanda.
E’ quindi intervenuta l’ucraina Ivana Petrina. Da badante ha attraversato l’Italia da sud a nord. Lei è infermiera anestesista e anche per il lei, il principale ostacolo è stata la lingua. Ora si è stabilita da anni a Belluno ed è attiva nel mondo del volontariato. Allegra e gioviale, la sua vita “scorre qui, come l’acqua del Piave”. Altra storia, quella della marocchina Wafaa Lambraki. La sua prima destinazione, Zoldo innevato, era stato uno shock. Ma non si è persa d’animo, ha trovato un lavoro come operatore per anziani e ha studiato la lingua italiana. Poi, con la famiglia, si è trasferita a Ponte nelle Alpi, dove, con il passare degli anni si sente a suo agio e afferma che quasi più nessuno nota il velo che indossa. Si è integrata e a casa sua si mangia cibo arabo soltanto il sabato; ora, quando va in Marocco, vi porta cibo bellunese. Più sofferta, risulta l’esperienza della camerunense Bella Epse Akaba Crescenze. Sarebbe rientrata subito in Patria, dove aveva un lavoro importante da ingegnere civile, se i suoi genitori non glielo avessero impedito. Qui non riesce a trovare lavoro e continua gli studi, facendo un Master universitario a Padova. Il suo italiano è stentato e per parlare ricorre al francese, mentre la sua bambina la riprende con il tablet: vuole mandare il video ai genitori, per far vedere loro che ha parlato davanti ad un pubblico di “bianchi”.
A conclusione di serata è emerso un quadro poco incoraggiante, sulle esperienze di vita all’estero. Ancora oggi tutto il mondo “non” è paese.