Donne e uomini: la cultura della non violenza

non violenzaSi è tenuto domenica 15 dicembre 2013, presso il Museo Archeologico nazionale di Ferrara, nell’ambito delle iniziative che la Soprintendenza promuove con le Associazioni, in favore della lotta alla violenza di genere, l’incontro promosso da FIDAPA BPW Italy (Federazione Italiana Donne Arti Professioni Affari) dal titolo “Donne e uomini: la cultura della non violenza”.

Ha aperto i lavori Caterina Cornelio, direttrice del Museo Archeologico nazionale che ha ospitato l’incontro, alla quale è seguito il saluto di Maria Grazia Suttina, Presidente FIDAPA, che ha presentato l’attività e i progetti che l’Associazione svolge in favore delle donne.

Relatori: Deanna Marescotti, Psicologa-Counseling – Socia onoraria FIDAPA e Michele Poli, responsabile C.A.M. (Centro ascolto uomini maltrattanti di Ferrara), uno dei due centri attualmente esistenti in Italia, che si occupano della presa in carico di uomini che agiscono violenza sulle donne all’interno di rapporti affettivi.

Ha introdotto alla riflessione sul tema, Silvia Pellino, antropologa-Socia FIDAPA, che ha inquadrato la problematica dal punto di vista antropologico: un approccio comparativo sulla diversità dei comportamenti umani e l’importanza della cultura nella spiegazione di questa diversità. Nell’approfondimento  delle questioni legate ai rapporti di genere, l’antropologia ha utilizzato una pluralità di prospettive e di orientamenti teorici: evoluzionismo, strutturalismo, femminismo… Proprio perché l’uomo è un essere culturale che risente degli eventi storici, delle pressioni politiche, degli orientamenti scientifici ed intellettuali prevalenti nell’epoca in cui vive, il modo di porsi e di affrontare tali questioni cambia al mutare delle condizioni economiche, politiche, sociali e culturali.

Deanna Marescotti ha tracciato il profilo di un fenomeno, quello della violenza sulle donne, trasversale ad ogni epoca della storia e fortunatamente, oggi, sempre meno sommerso. La violenza di genere si caratterizza da una serie distinta di azioni fisiche, sessuali, di coercizione economica e psicologica che hanno luogo all’interno di una relazione affettiva. Si tratta di una serie di condotte che comportano, nel breve e nel lungo tempo, un danno di natura fisica, di tipo psicologico ed esistenziale. La violenza psicologica si manifesta attraverso una serie di atteggiamenti intimidatori, minacciosi e denigratori da parte del partner. Essa comprende: tattiche di isolamento, ricatti, insulti verbali, minacce, rifiuti, colpevolizzazioni pubbliche e private, svalutazioni continue, umiliazioni, limitazioni dell’espressione personale. Nei casi più gravi ha luogo un processo di “distruzione della personalità” che può portare la vittima alla malattia mentale, alla depressione. Viviamo nel tempo in cui le donne affermano sempre di più e ovunque la propria libertà. E’ un mutamento radicale, profondo, che cambia le vite di tutti. Per gli uomini non è facile riconoscerlo e accettarlo pienamente: la perdita del controllo causa disagio, paura, rancore. Incontrare la libertà e l’autonomia femminile mette di fronte al limite e alla parzialità che appartiene ad ogni essere umano maschio o femmina che sia. Ma la consapevolezza che ne può derivare, se perseguita, offre la possibilità di realizzare una relazione libera,  uno scambio affettivo vero, nella differenza. Si tratta di dare spazio ad un’altra idea di relazione, liberando la capacità di cura e il piacere dell’incontro, che appartiene indistintamente ad ogni essere umano.

Michele Poli, dal suo punto di vista, quotidianamente a contatto con la violenza agita, evidenzia come nelle dinamiche di prevaricazione  anche la società ha un ruolo, in quanto essa è caratterizzata da modelli culturali, religiosi e sociali che contribuiscono ad una sorta di “rimozione sociale” del problema, per cui si parla diffusamente di violenza sulle donne e non di violenza maschile sulle donne. La maggioranza degli uomini lo ritiene un problema che riguarda “altri” uomini, ovvero uomini malati, emarginati, o appartenenti ad altre culture. In realtà esso è diffuso in ogni strato sociale e culturale. La violenza maschile sulle donne deve essere vista, invece, all’interno di uno scenario culturale diffuso e condiviso, da cui trova alimento e giustificazione. Affrontare tale situazione implica, pertanto, oltre all’offerta di sostegno alle persone coinvolte nella violenza, anche la rimessa in discussione e la destrutturazione dei modelli stereotipati di genere, delle forme relazionali tra i sessi, dei modelli di socialità, per fare in modo che donne e uomini possano imparare a definirsi in maniera diversa rispetto ad essi.

Contro la violenza maschile sulle donne è particolarmente importante, dunque, un cambiamento culturale che non solo porti con sé la cancellazione degli stereotipi, ma che spinga gli uomini a guardarsi dentro, ad ascoltare e comprendere le proprie emozioni, a confrontarsi e ad accettare le proprie fragilità e debolezze. Occorre guardare oltre l’idea di una originaria oscura “natura maschile”, da disciplinare e contenere. E vedere invece il legame tra la violenza quotidiana e una cultura radicata che spaccia per “naturale” il dominio del soggetto maschile, presentato come neutro e universale, sul resto dell’umanità, una cultura che da secoli garantisce a chi nasce maschio innumerevoli vantaggi e privilegi, a patto che si rinchiuda in ruoli, attribuzioni e aspettative rigidamente e perfino violentemente predefinite.

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