“Mangia come parli”: come è cambiato il linguaggio del cibo. Presentazione a Ferrara

Scaffidi 2E’ la cornice di Palazzo Roverella, splendida sede del Circolo dei Negozianti in corso della Giovecca 47, a Ferrara, ad ospitare la presentazione del libro di Cinzia Scaffidi “Mangia come parli”, Edizioni Giunti-Slow Food 2014. L’autrice fa parte del Consiglio nazionale e del Comitato esecutivo di Slow Food Italia ed è direttrice del centro studi Slow Food. Insegna interdisciplinarità della gastronomia presso l’Università di Scienze gastronomiche a Pollenzo. E’ autrice di numerose pubblicazioni sul tema. E’ stata ospite dell’edizione 2014 di Internazionale a Ferrara. L’incontro, organizzato dalla sezione di Ferrara si è tenuto giovedì 19 febbraio 2015.

Presente alla serata, cui ha partecipato  un folto pubblico, il cav. Paolo Bruni, Presidente del Centro Servizi Ortofrutticoli di Ferrara.

Cinzia Scaffidi, introdotta dalla Presidente Maria Grazia Suttina e dalla presentazione di Raffaella Scolozzi, conduce nella sua trattazione alla scoperta di un libro-vocabolario che racconta i termini chiave del mondo enogastronomico di uso quotidiano, enuncia 100 parole dalla A di agricoltura alla Z di zappare, le racconta nella loro evoluzione e nei loro molteplici significati, mutati nel mondo contemporaneo, attraversate da un nuovo modo di vivere e di orientarsi, in una società in cui aumentano pressioni e condizionamenti a volte palesi, il più delle volte occulti e dove le parole assumono valori e significati diversi. Basta sentirla citare qualche esempio per capire.

Ci sono parole che nel corso del tempo hanno perso il loro senso autonomo, come agricoltura, e oggi possono indicare una cosa e il suo contrario a seconda di come vengano accompagnate; un esempio è agricoltura industriale e agricoltura sostenibile; ci sono parole che hanno faticato ad imporsi, come biodiversità, ma oggi sono riconosciute e rispettate; ci sono parole che vanno difese, dalla voracità delle multinazionali e dalla pervasività delle pubblicità; ci sono parole che rischiano l’estinzione, come conserve, marmellate; parole semplici e indispensabili come buono, pulito e giusto; parole ricche di significato e di valore, come equo; ci sono parole a doppia faccia come mercato minaccioso e potente/ intrigante e valoroso; ci sono parole di gran moda, come naturale, e per questo, fragili, esposte all’incomprensione e alla strumentalizzazioni. E ancora, ci sono parole divenute negative, come grasso, che per tanto tempo ha significato abbondanza, solidità economica, benessere e oggi indica la mancanza di bellezza, la frustrazione, l’incompletezza. Parole che vorremmo allontanare da ogni discorso sul cibo, come frode, perché contengono tutta l’insicurezza e l’impotenza dei consumatori, in balìa della nocività del cibo ancorché accorti e prudenti

La parola «etichetta» oggi dovrebbe andare molto al di là di ciò che potrebbe sembrare di primo acchito. oggi etichetta non può più essere soltanto l’elenco di ingredienti contenuti, ad esempio latte-caglio-sale, in un formaggio. Dovrebbe essere molto di più, ciò che Slow food chiama etichetta narrante:  dovrebbe fornire informazioni  relative ai luoghi di allevamento  degli animali che hanno prodotto il latte, che cosa hanno mangiato, da dove viene il latte e quali trattamenti ha subito. Lo stesso vale per «zappare», un verbo che fino a qualche decennio fa era usato in modo dispregiativo, quasi una minaccia che mamme e nonne rivolgevano a ragazzi svogliati negli studi: «Se no ti mandiamo a zappare». Oggi laureati, manager e professionisti che scelgono di voler «andare a zappare» lo dicono con orgoglio. La fatica non è cambiata rispetto a un tempo, ne è cambiata la visione: una summa di sapere e competenze di amplissimo spettro.

Un cibo, dice Cinzia Scaffidi, deve raccontare una storia. E allora ci vogliono le parole. Quelle giuste. Quelle che sanno dire del passato e sanno tracciare un’idea del futuro. Parole come centro o come contadini. Qualche decennio fa abitavamo in centro e con noi abitavano il pane, la carne, la frutta, la verdura. Oggi andiamo a fare la spesa fuori, nei grandi supermercati dotati di ampio e comodo parcheggio, e il centro si svuota di persone e di macellai, di vita e di pizzicagnoli. Ma senza centro non c’è città e senza città non ci sono relazioni, scambi, comunità. Come senza contadini non c’è terra. E non si capisce cosa aspetti la classe politica, il sistema bancario, il ceto dirigente a investire su di loro, non si capisce cosa aspettiamo tutti quanti a capire – conclude la Scaffidi – che sta lì, in quei campi, in quelle mani, l’identità del nostro Paese. Ecco perché “Mangia come parli” non è solo il titolo di un libro, ma l’idea di mondo e di vita.

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