Si è appena concluso il ciclo di incontri, “Il corpo delle donne nella pubblicità” promosso da FIDAPA BPW Italy Sezione di Ferrara, con il patrocinio del Comune di Ferrara e tenuto agli alunni degli Istituti di Scuola superiore cittadini: Liceo Ariosto, Liceo Carducci e I.T.I Carpeggiani-Copernico.
Cinque i relatori che si sono avvicendati nelle conversazioni con gli studenti: Piero Stefani Teologo, Biblista, Docente universitario con il titolo “Vestirsi e svestirsi agli occhi delle culture altre”, Deanna Marescotti Psicologa, counsellor, Assessore alle Pari opportunità del Comune di Ferrara con “Pubblicità e identità di genere”, Dalia Bighinati Giornalista, autrice televisiva – Telestense TeleFerraraLive, con “Cosa significa quello che vediamo? Effetto specchio nella pubblicità”, Maria Silvia Giorgi, Magistrato con “Pubblicità e legalità” ed Elena Buccoliero, Sociologa Ufficio Diritti dei Minori del Comune di Ferrara, Giudice Onorario del Tribunale per i Minori di Bologna con “Tutta un’esibizione di sorrisi. Le età della donna attraverso le immagini della pubblicità”.
Mentre scorrevano sullo schermo le immagini pubblicitarie che i ragazzi sono soliti vedere sui muri della città, sui giornali, alla televisione, i relatori, ciascuno nel proprio ambito, hanno condotto i ragazzi alla decodifica dei messaggi espliciti e sottesi che l’immagine pubblicitaria veicola e alla successiva messa a fuoco degli scopi indotti; hanno posto l’attenzione sulla necessità di acquisire strumenti idonei alla lettura dei medesimi e al riconoscimento dei valori o disvalori che essi perseguono, motivandoli affinché il loro sguardo non rimanesse indifferente, ma in grado di suscitare domande, cui sensibilità e consapevolezza potessero dare risposta.
Le analisi, tutte partite dalla considerazione che esiste un uso frustrante e dannoso dell’immagine delle donne, corpi vuoti ed asessuati, sempre giovani e disponibili, usati come mezzo per vendere qualsiasi cosa, hanno messo in luce come le pubblicità mirino a vendere qualcosa di più dei prodotti ai quali sembrano demandate. Vendono valori, immagini, concetti di amore, di sessualità, di successo e, forse, ancora più importante, vendono un presunto concetto di normalità. Dicono chi siamo e come dovremmo essere. Le donne imparano fin da piccole ad impiegare una grande quantità di tempo, energie, e soprattutto denaro, cercando di ottenere questo aspetto e a sentirsi inadeguate se non ci riescono. Ma il fallimento è inevitabile poiché questo ideale è basato su una mancanza assoluta di difetti. In questo ideale i personaggi non hanno mai nessun segno, nessuna ruga. Non hanno né cicatrici né macchie e un’assenza di difetti che non potrà mai essere raggiunta. Nessuno vi può assomigliare. Nessuno può essere così. La costruzione di un immaginario femminile inesistente e lontano dalla realtà fisica e psicologica delle donne, si fa strada. L’obiettivo non conosce limiti di età: anche le bambine sono spinte a riconoscersi precocemente in un modello sempre più adulto e spinto verso la sessualizzazione marcata dei loro volti e dei loro corpi ancora acerbi.
A fornire rappresentazioni simili sono ormai molti prodotti. Stereotipi iper-sessualizzati, a volte fino al grottesco, sono incarnati da alcune comunicazioni della moda o del lusso e pubblicità locali che cercano la visibilità attraverso lo scandalo, tra doppi sensi grevi, giochi di parole imbarazzanti ed ammiccanti, ragazze scosciate esibite solo per catturare l’attenzione.
Tutto il sistema dei media, pubblicità compresa, contribuisce ad amplificare e ad orientare l’immaginario collettivo, sia femminile che maschile. Le immagini e le narrazioni sono potenti, suggestive, si radicano nella memoria.
Le donne sono costrette in due stereotipi: casalinga felice o corpo giovane, bello e soprattutto disponibile. La ripetitività di questi soli due modelli, in televisione e in pubblicità, fa dell’Italia un caso di studio. Corpi femminili seminudi, dovunque. Immagini ai limiti della pornografia campeggiano in ogni spazio pubblico, sono approvate e vengono scambiate per libertà d’espressione. La donna presenta il prodotto; la donna è il prodotto; la donna si compra con il prodotto. Gli stereotipi sono lesivi della dignità della donna, ma anche di quella dell’uomo, ridotto e umiliato in una rappresentazione istintiva e machista. Sono davvero così gli uomini? Sono davvero così le donne?
La rappresentazione di genere in pubblicità non è neutra. Ha un impatto profondo, che chiama in causa questioni etiche complesse e delicate. Già nel 1976, il sociologo canadese Erving Goffman scriveva: “I modelli proposti dai media e dalla pubblicità contribuiscono a definire il significato dell’appartenenza di genere, imponendosi con forza per il fatto di essere pubblicamente diffusi”. Sono, tuttavia, quelli proposti da media e pubblicità, donne e uomini piuttosto distanti da quelli reali e certamente poco realistici. Spesso banalizzati dalla natura iper-sintetica della forma comunicativa che li ospita. Figure utilizzate dalla pubblicità a proprio uso e consumo, molto lontane dalla complessità della vita di uomini e donne che popolano il mondo.